In memoria di Giuseppe Lippi
Chi sono questi misteriosi goblin dall’aspetto grottesco che vivono nel sottosuolo della grande montagna e il cui massimo divertimento consiste nell’escogitare tutti i possibili modi per dar fastidio a quelli che vivono fuori, alla luce del sole? La loro presenza condiziona la vita di tutti e in particolar modo quella della principessina Irene, cui si teme che i goblin possano dar fastidio. E non a torto, perché infatti questi astuti e malevoli gnomi hanno progettato niente meno che di rapirla per farle sposare il figlio del loro re e contemporaneamente per ricattare il sovrano del regno di sopra. Ma la profonda amicizia con Curdie, il ragazzo minatore, e la vigile e protettiva presenza di una meravigliosa bis-bisnonna, portano a felice compimento, pur attraverso mille peripezie, la lunga e movimentata favola.
Titolo: La principessa e i goblin | Titolo originale: The Princess and the Goblin | Anno di pubblicazione: 1872 | Autore: George MacDonald
L’uomo fissa la giovane fanciulla in barca, nel 1862 tutto sembra in armonia con il Creato. Il sorriso di Alice avrebbe aperto dei varchi per mondi meravigliosi. Probabilmente è questo quello che pensa il timido uomo mentre rema tra le acque del fiumi Isis in quel 4 luglio. Idee fantasmagoriche tormentano i suoi pensieri, vorrebbe parlarne immediatamente con qualcuno perché ha una musa. E una storia da scrivere.
Quell’anno i salotti letterari sono frequentati da personalità imminenti, Lewis Carroll lo sa bene, la moglie di Oscar Wilde si circonda di ospiti interessanti. C’è Ruskin che mima animosamente le di scalare cattedrali gotiche, William Morris discute con i suoi amici Preraffaeliti di cavalieri e dame agghindate con vesti sontuose e c’è un individuo silenzioso, in disparte. Lo scozzese non è cinico o misantropo, semplicemente non ama vantarsi o esporre goliardicamente le sue “imprese”, ma è uno scrittore famoso e apprezzato. Lewis si avvicina e fa leggere alcune pagine di appunti a quel celta del Nord. Viene spronato a scrivere un romanzo, a concretizzare quelle idee in una storia nuova e sensazionale, nel 1865 viene dato alle stampe uno dei romanzi fantastici più famosi della storia: Alice nel Paese delle Meraviglie. Caroll chiese aiuto proprio a uno dei pionieri del children fantasy, il romanziere e ministro di culto scozzese George MacDonald. I due scrittori strinsero un forte legame intellettuale e una lunga amicizia. Anni dopo anche MacDonald, nel 1972, pubblica il romanzo La principessa e i goblin ulteriore punto di riferimento per il genere fantastico che si annida nelle fairylands. Nel 1858 MacDonald aveva già estasiato la critica letteraria londinese con il suo singolare romanzo Phantastes ( in Italia: le Fate dell’Ombra o Anodos), tributo solenne agli Altrove immaginari e fantastici nati dal folklore europeo continentale e anglosassone; basta ricordare la prepotente influenza lirica e tematica delle favole dei Grimm e di Novalis, il passato mitico dei Canti di Ossian o le immagini evocative di Coleridge. Le parole di Novalis sono riportate da MacDonald all’inizio di Phantastes: «La nostra vita non è un sogno, ma dovrebbe diventarlo e forse lo diventerà» questo bisogno di raggiungere il “sogno”, di intravedere un mondo sconosciuto ma affine al nostro si realizza, con genuina semplicità, nel romanzo accennato precedentemente.
La principessa e i goblin è un romanzo magico e tenero, capace di incuriosire la mente dei giovani lettori e sciogliere l’animo delle persone più “mature”; come direbbe Horace Walpole siamo inciampati nella serendipity (la felicità di trovare qualcosa di meraviglioso mentre stiamo cercando tutt’altro). Mentre vogliamo leggere un fantasy ci accorgiamo di essere in una fiaba, di vivere all’interno di una filastrocca gioiosa o di essere i protagonisti di un sogno infantile. Il romanzo di MacDonald è ambientato in un vago regno senza nome, perso tra verdi colline dai dolci pendii e montagne accarezzate dalla brezza di un’eterna primavera. Irene è una principessa bambina, orfana di madre che vive sotto l’occhio vigile della sua balia mentre il suo papà-re è troppo impegnato a governare. Molti anni prima degli eventi narrati il Regno era abitato da un altro popolo, il quale decise di sfuggire dalle tasse e dalle leggi dei regnanti rifugiandosi sottoterra. All’interno della montagna, grazie ai numerosi cunicoli labirintici uomini e donne riescono a sopravvivere e creano un regno del sottosuolo, con i propri regnanti e le proprie leggi. Vivendo senza la luce del sole gli uomini del sottosuolo cominciano a trasformarsi in creature grottesche e minute, deformi e dall’aspetto sgradevole, parallelamente anche il loro animo diventa sempre più oscuro e iniziano a tormentare gli abitanti della superficie. Gli uomini diventano così dei folletti o degli gnomi, conosciuti come Coboldi o Goblin; sono creature forzute e molto ingegnose e usano la loro intelligenza per infastidire i poveri minatori che scavano vicino la montagna. I goblin sono anche allevatori di creature bizzarre e terrificanti che infestano i cunicoli del regno sotterraneo.
Irene è una bambina vivace e incontrollabile, infatti la sua bambinaia fatica molto a starle dietro, un giorno si perde e si ritrova per caso in una magnifica stanza misteriosa abitata da una donna meravigliosa. La principessina incontra la sua trisavola, anch’essa di nome Irene, la quale incarna tutti i topoi della “fata” buona del folklore. La nonna è una donna affascinante e garbata, è visibile soltanto a coloro che “credono” ci sia un mondo magico che trascende la semplice realtà: «credere significa credere, vedere significa vedere non credere» questa una sua magnifica sentenza. Inoltre è dotata di vaghi oggetti magici, come un magico anello dai poteri imprevedibili (Tolkien e C.S. Lewis lessero con sommo piacere le opere dello scozzese), un filo indistruttibile che segna sempre la retta via e altri prodigi fatati. Irene è così felice di aver incontrato la sua trisavola da dirlo alla sua balia, quest’ultima non le crede e così inizia il litigio tra la bambina e l’adulta. Una bellissima lezione di teologia fantastica; non tutto quello che è inspiegabile è irreale! Suggestivamente contraria all’incredulità di San Tommaso.
In un secondo momento Irene e la balia si perdono durante una passeggiata e si ritrovano in una zona frequentata abitualmente dalle scorribande dispettose dei goblin. Soltanto le filastrocche anti-goblin cantate da Curdie, il minatore-bambino, scoraggiano i goblin dall’attaccare le malcapitate donzelle. MacDonald fa una profonda innovazione narrativa, si distacca dal medievalismo classico e imperante dell’era vittoriana (quello operato da Morris, Scott o i preraffaeliti), gli eroi non indossano armature scintillanti o cavalcano possenti destrieri da guerra, non sono nobili guerrieri o coraggiosi avventurieri misteriosi. Curdie non è l’eroe bretone-arturiano o il paladino carolingio, ma l’umile minatore; simbolo di un passato semplice ma non sconfitto e allo stesso tempo figlio di un’era meccanica. Curdie è il plebeo oppresso dai signorotti medievali ma anche l’operaio della rivoluzione industriale, il giovane fanciullo dickensiano sfruttato dal progresso. Non ha una spada affilata o una reliquia sacra, ma i pantaloni logori, un piccone e molte canzoni. MacDonald è un innovatore quanto un conservatore, si colloca perfettamente tra le tele romantiche dei preraffaeliti, i romanzi medievalisti di Scott (Ivanhoe) e Morris (Il paradiso Terrestre o la più tarda La fonte ai confini del mondo) e il modernismo di vetro e acciaio del Crystal Palace (1851). Il minatore-fanciullo aiuta le povere signorine a salvarsi, Irene spinta da un’infinità bontà d’animo promette a Curdie un bacio sulla guancia come segno di ringraziamento; ma la balia non permette che una principessina baci un villico, così il bacio è rimandato a una seconda occasione. Nel frattempo i goblin sono in procinto di invadere il regno della superficie e di riempire di dispetti gli abitanti e il Re. Il romanzo di MacDonald si snoda con sobria leggerezza nel raccontare le vicende di Curdie all’interno della montagna, intento a scoprire le malefatte dei grotteschi avversari o segue la narrazione di Irene che diventa sempre più attratta dal mondo magico simboleggiato dalla sua trisavola fatata.
La principessa e i goblin è un perfetto esempio di children fantasy poiché è ricco di sano umorismo, avventure spericolate ma non troppo pericolose (ricordiamo che Goblin e Umani non lottano fino alla morte, si donano a vicenda solamente molti bernoccoli) e presenta numerosi inserti descrittivi che emozionano il lettore. Sembra di rivivere ai tempi di un’Inghilterra magica e fuori dal tempo, quando la nebbia avvolgeva l’isola di Avalon; mentre ora l’unica nebbia è fatta dallo smog delle black town.
Non si sente la mancanza del “machismo guerriero” tipico dell’heroic fantasy, MacDonald riesce a toccare altre corde del nostro animo, risvegliando qualcosa di ancor più sopito rispetto alla potenza vitalistica della guerra o della furia combattiva. Il romanziere scozzese ci ricorda che dobbiamo essere bambini, perché sono quest’ultimi ad avere la forza di fare domande. La curiosità di Irene le fa scoprire un altrove magico e apparentemente irreale! Curdie con la sua sete di conoscenza riesce ad addentrarsi nel regno dei Goblin! Le domande di un bambino sono in grado di varcare i cancelli della fantasia. Il nostro autore è animato da una profonda nostalgia che ci invita a tornare dentro al nostro passato, ci consiglia di ripescare dai nostri ricordi la felicità e la spensieratezza di una giovinezza magica. Come direbbe Giorgio Caproni: «Sono tornato là, dove non ero mai stato». La principessa e i goblin fa esattamente questo, ci dona una dolce malinconia e ci fa visitare luoghi mai visti prima, ma estremamente familiari.
Cristiano Saccoccia