I “Miti di Cthulhu” rappresentano uno degli elementi più affascinanti della narrativa di Lovecraft e degli altri autori a lui vicini. La creazione di un pantheon di divinità altre – non soltanto differenti da quelle conosciute nelle culture più note, ma diverse addirittura nella concezione teologica vera e propria – ha consentito all’autore di Providence e a molti altri insieme a lui di utilizzare un background sul quale piantare di volta in volta storie nuove e varie, accomunate però da riferimenti comuni. I miti hanno anche funto da collante tra i lavori dello stesso Lovecraft e di altri autori quali Clark Ashton Smith o a Frank Belknap Long, a volte limitandosi ad apparire come mera citazione, un dettaglio sfuggente che poteva risolversi in un semplice omaggio ad un amico scrittore, altre volte come colonna portante della narrazione in un racconto o in cicli di storie. Vedremo come questo concetto si sia evoluto all’interno della letteratura weird e come i “Miti di Cthulhu” si siano sviluppati nel corso del tempo.
Naturalmente Lovecraft e il suo “circolo” non furono gli unici né i primi ad adoperare un simile stratagemma letterario. Qualcosa di simile era accaduto già tra Ambrose Bierce (1842-1914) e Robert W. Chambers (1865-1933), entrambi autori apprezzati da H.P.L. e menzionati nel suo Supernatural Horror in Literature (1927). Bierce fu un intellettuale vivace e cinico. Giornalista e reporter di guerra, scomparso in circostanze mai chiarite durante la rivoluzione messicana, si dedicava volentieri alla narrativa breve e alla satira, ed è conosciuto soprattutto per il suo Devil’s Dictionary (1906); in questa sede, però, lo ricordiamo per l’invenzione della perduta città di Carcosa, la strana e disturbante città che appare nel racconto An Inhabitant of Carcosa (1886), e per il misterioso Libro segreto di Hali citato nello stesso testo. Il racconto (che vi consiglio di leggere mentre ascoltate questa canzone) allude alla caduta di Carcosa e agli enigmatici orrori che ad essa sono legati, costruendo un’atmosfera che evoca altri mondi e altri modi d’esistere.
Queste suggestioni piacquero a Chambers, che riprese Carcosa e l’idea di un libro maledetto nel suo Il Re in Giallo (1895). Nei racconti di questa raccolta, l’autore inserisce allusioni e cenni ad un libro proibito (che porta lo stesso nome della raccolta stessa), la sceneggiatura di un’opera teatrale che fa impazzire chiunque la legga.
Riferimenti a Il Re in Giallo fittizio appaiono nel racconto The Repairer of Reputations e The Yellow Sign, contribuendo alla costruzione di un opprimente senso di minaccia e di alterità che mette a rischio non solo l’integrità fisica dei protagonisti, ma la loro mente e il loro spirito; le rivelazioni contenute negli struggenti e terribili passaggi della sceneggiatura possono fare traballare le fondamenta stessa della realtà. Chambers riprese da Bierce anche il nome “Hastur”, apparso per la prima volta nel suo racconto Haïta the shepherd (1893), e che nei vari racconti di Il Re in Giallo è ora assegnato ad un luogo, ora ad una persona, trasformandolo in un concetto più vasto che si insinua nella trama letteraria ampliando ogni riferimento e collegandolo agli altri racconti. Nonostante questo ingegnoso accorgimento, la raccolta di Chambers risulta poco equilibrata, in alcune occasioni cedendo eccessivamente al decadentismo (come notò Lovecraft in Supernatural Horror in Literature) il quale è, in verità, presente ma molto ben dosato in testi della raccolta come in The Yellow Sign, o in The Demoiselle d’Ys.
Ciò che ci interessa qui, però, è rilevare come Chambers abbia scelto di trasformare la semplice citazione in qualcosa di più complesso, accogliendo lo spunto di Bierce ed espandendolo in una direzione comune eppure caratterizzandolo con tratti precisi e riconoscibili. Piuttosto che ripresentare il Libro segreto di Hali preferisce inventare uno suo pseudobiblion e costruirci attorno un discorso metaletterario, aprendo la strada ad un uso che Lovecraft e altri faranno proprio – portandolo a livelli ancora più sofisticati.
Lovecraft infatti apprezzò molto l’idea del libro proibito, elaborando questo concetto in vari modi. L’esempio più famoso è senz’altro il Necronomicon (o Al Azif) di Abdul Alhazred, ma si possono ricordare anche i Manoscritti Pnakotici, il Libro di Azathoth e altri volumi fittizi – non necessariamente a tema occulto – che l’autore di Providence inventò e utilizzò nei suoi racconti.
Ma, come già nel caso di Bierce e Chambers, il concetto di “miti” non si limita soltanto alla presenza ricorrente di un libro maledetto. Lovecraft usava riferirsi alla rete di fitte relazioni intrecciate tra i propri racconti come al “Ciclo di Arkham”, la città (anch’essa fittizia) bagnata dal fiume Miskatonic (fittizio) e che ospita la Miskatonic University (fittizia!); perciò è possibile affermare che, nella sua considerazione, un elemento collante di rilievo fosse proprio Arkham e il territorio che la circonda – e difatti molti racconti importanti sono ambientati nei pressi della città oppure le assegnano un ruolo preminente, come nei casi di The Color Out of Space 1927) e The Dunwich Horror (1928) nei quali appare la cittadina stessa o l’università.
Ma Lovecraft, ovviamente, è noto anche per avere creato una serie di creature inquietanti e orribili, che si annidano tra le pieghe dell’essere minacciando la psiche umana con la loro mera esistenza. La più famosa di queste è senz’altro Cthulhu, il sommo sacerdote che attende sognando nella morta R’lyeh, fulcro del racconto The Call of Cthulhu (1926) da molti ritenuto un punto di svolta nella narrativa lovecraftiana; quest’affermazione può forse apparire un po’ forzata, poiché alcuni elementi del famoso “terrore cosmico” che caratterizzano i racconti di HPL possono essere individuati anche in testi precedenti (ad esempio The Nameless City del 1921), ma non si può negare che Cthulhu sia divenuto presto l’emblema di un modo di fare letteratura weird – e si può capire pure perché August Derleth (1909-1971), amico e collaboratore di Lovecraft, abbia fino con il ribattezzare il “Ciclo di Arkham” in “Ciclo di Cthulhu”.
Insieme al tentacolare sacerdote, trovano posto entità altrettanto tremende e ancora più disturbanti, come Yog-Sothoth, Nyarlathotep, Shub-Niggurath, Azathoth e così via. Esse – come vedremo – vennero riprese anche da altri autori, ma ciò che ha reso i “miti” un fatto letterario ampio consiste in qualcosa di più complesso della mera ricorrenza all’interno di vari testi. Per inserire un’opera nel sistema non bastava aggiungervi un libro inventato o una divinità orrenda: bisognava che essi risultassero credibili, e che vi si facesse riferimento come a qualcosa di realmente sacro, proibito, appunto “mitico”. Un espediente a cui Lovecraft ricorse spesso, ad esempio, fu la storpiatura dei nomi: il nome dello stesso Cthulhu cambia a seconda delle società in cui viene adorato, diventando Tulu, Katulu, Kutulu e così via. La creatura si spersonalizza, diventando sempre più simile ad un concetto – e in effetti l’antropologia all’epoca di Lovecraft tendeva a generalizzare alcuni aspetti delle religioni di popolazioni arretrate, come si può ben notare in The Golden Bough (1890) di Frazer. Naturalmente HPL va oltre, mostrando una divinità che oltre ad essere assimilabile ad un concetto è anche un corpo, peraltro instabile e non del tutto aderente alle leggi della nostra fisica. Analogamente, Yog—Sothoth è sia una divinità in grado di fecondare le vergini che le vengono offerte, ma anche una forza che si muove tra le dimensioni e che può, probabilmente, coincidere essa stessa con il concetto di soglia (“Yog-Sothoth knows the gate. Yog-Sothoth is the gate. Yog-Sothoth is the key and guardian of the gate”). Le differenze tra un dio e una creatura venuta dall’altrove, caratterizzata da tratti propri che potrebbero essere anche “naturali” se paragonati al suo contesto di origine, si fanno perciò sempre più sottili. Per quanto riguarda gli pseudobiblia, invece, essi sono resi verosimili grazie alla storia dei propri autori e alla descrizione di complesse storie editoriali – esemplare quella del Necronomicon – elementi che li trasformano in qualcosa di più potente di semplici citazioni bibliografiche.
I “miti” si fondano quindi sulla complessità dei singoli elementi, ma anche su quella delle relazioni tra di essi: perciò in un tomo proibito si possono trovare allusioni ad una leggenda contenuta in un altro libro, o accennata in grimori realmente esistiti (espediente, questo, a cui ricorreva spesso HPL).
A questo meccanismo non si sottraggono anche le entità cosmiche, che sembrano intrattenere oscuri rapporti tra di loro: ad esempio nel racconto Out of the Eons (scritto in collaborazione con Hazel Heald, ma con un grandissimo apporto di HPL) la divinità Ghatanothoa è “rivale” di Shub-Niggurath, e tra i fedeli delle due fazioni si creano delle ostilità. Nyarlathotep è inesplicabilmente legato ad Azathoth, mentre creature minori come gli alieni Mi-go adorano Yog-Sothoth e altre divinità oscure. Sui rapporti tra i vari elementi scherzò lo stesso Lovecraft, che in una lettera a James Morton disegnò uno schema di parentele tra le diverse entità, comprendente anche un’unione tra Yog—Sothoth e Shub-Niggurath (e la famiglia dello stesso autore di Providence discenderebbe da Cthulhu!). Da questi elementi nacque l’idea di una vera e propria gerarchia, sviluppata in anni successivi da molti altri autori che si sono prodigati di sistemare su vari livelli le creature lovecraftiane serve di questa razza, di quell’altra o di quell’altro dio (non soltanto in letteratura, ma anche in giochi di ruolo).
Com’è ovvio, Lovecraft non ha fatto questo tutto da solo. Come già detto, le influenze precedenti furono illustri: a parte i già citati lavori di Bierce (egli stesso citò il Libro Segreto di Hali) e di Chambers, bisogna ricordare anche l’influsso di Arthur Machen (1863-1947) dal quale trasse l’idea di utilizzare linguaggio aklo, e il pantheon fittizio sviluppato da Dunsany nel suo TheGods of Pegāna (1905). Ma HPL trovò un grande appoggio sopratutto nei suoi amici e corrispondenti letterari.
Infatti, nelle revisioni e collaborazioni di cui si occupò, spesso inserì in testi di altri autori dei riferimenti ai personaggi e ai luoghi dei propri racconti; e nei casi di rapporti più stretti, come con R. E. Howard, C. A. Smith e F. Belknap Long, lo scambio di citazioni e riferimenti rese i “miti” ancora più funzionali.
I casi più noti sono quelli riguardanti gli altri pseudobiblia come il Libro di Eibon creato da Smith, Unaussprechlichen Kulten, scritto dal misterioso Von Juntz e ideato da Howard, o ancora il De Vermis Mysteriis inventato da Robert Bloch (1917-1994), ma al grande sistema dei “miti” si aggiungono varie creature quali i segugi di Tindalos (che appaiono per la prima volta in un racconto di Long) e divinità assurde come Tsathoggua. È curioso notare che questi elementi appaiono – come citazioni scherzose – anche nei carteggi tra Lovecraft e i suoi corrispondenti, partecipando in qualche modo allo stesso processo di espansione dell’universo letterario cui abbiamo già accennato.
I riferimenti sono innumerevoli ed è difficile riuscire ad ordinarli tutti. Ciò che rende ancora più complessa l’impresa, però, è la grande risonanza che l’esperimento dei “miti” ha avuto nel corso del tempo, giungendo ad essere ancora oggi un insieme al quale tanti autori partecipano aggiungendovi creazioni (con risultati, com’è ovvio, alti e bassi). Una parte del merito va attribuita anche a Derleth, che con la fondazione della casa editrice Arkham House nel 1939 insieme a Donald Wandrei ha contribuito a diffondere l’opera di Lovecraft e degli altri scrittori; i “miti”, viaggiando tra le pagine di libri e riviste, hanno influenzato l’immaginario di tanti autori portandoli a tentare di riprodurre quelle stesse atmosfere opprimenti e cosmiche, a volte come mero omaggio e altre come esplicito richiamo a quel sistema. Tra i tanti che hanno ottenuto grandi risultati in questo campo non si può non ricordare Ramsey Campbel, che esordì proprio con una raccolta di racconti a tema lovecraftiano The Inhabitant of the Lake and Less Welcome Tenants (1964) pubblicata proprio da Arkham House.
Ad oggi le antologie di stampo lovecraftiano sono numerosissime, tanto in ambiente americano quanto in quello europeo, e la risonanza dei “Miti di Cthulhu” ha raggiunto media di tipo vario quali film, fumetti, videogiochi e serie animate. Tanto le singole entità quanto l’intero sistema mitico vengono inseriti in opere anche di genere diverso, dando dei tocchi d’atmosfera che possono essere recepiti da un pubblico sempre più vasto. Cthulhu e l’intera progenie cosmica ideata da HPL e dagli altri fanno ormai parte della cultura comune (non soltanto occidentale), e lo studio dell’attualità e delle implicazioni sociologiche, filosofiche e storiche delle opere di tipo lovecraftiano si fa strada ormai anche in ambiente accademico. In questo modesto intervento abbiamo cercato di tirare le somme su un esperimento letterario iniziato quasi un secolo fa, che ancora riesce a calare lettori di generazioni diverse in un universo fatto di entità immani e indifferenti che minacciano la realtà in modi imperscrutabili.
Francesco Corigliano